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(2011) Ugo Fabietti - Storia Dell'antropologia



Formatosi all'Università Statale di Milano[2], all'Università di Pavia[3] e all'EHEES di Parigi, ha condotto le sue ricerche più importanti in Medio Oriente[4], occupandosi tra l'altro di stratificazione sociale, identità etnica e antropologia delle religioni[5]. Considerato uno dei maggiori antropologi italiani a cavallo tra XX e XXI secolo[6], è noto come autore di manuali di storia e teoria dell'antropologia largamente adottati nelle università italiane.[7] Dal 1998 ha insegnato come professore ordinario all'Università di Milano-Bicocca, dove è stato tra i fondatori del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, nonché tra i principali fautori del corso di laurea magistrale e del corso di dottorato di ricerca in antropologia culturale e sociale.




(2011) Ugo Fabietti - Storia dell'antropologia



Ugo Fabietti è autore di alcuni dei manuali di storia e teoria dell'antropologia più diffusi nei corsi di studi demo-etno-antropologici delle università italiane,[2] quali ad esempio Storia dell'antropologia[18] ed Antropologia culturale. L'esperienza e l'interpretazione[19], che contano diverse riedizioni. Ha pubblicato inoltre un manuale di antropologia per le scuole secondarie superiori.[20] Nel 1997 ha curato assieme a Francesco Remotti[21] il Dizionario di antropologia[8], edito da Zanichelli.


Da un punto di vista di storia critica dell'antropologia, l'etnografia degli arabi nomadi ci fornisce, proprio in relazione al termine tribù, uno spunto di riflessione sulla terminologia impiegata dagli studiosi di questa disciplina. Non sarà infatti fuori luogo notare come il termine in questione sia stato impiegato per individuare quello che presso queste popolazioni si ritiene sia comunemente il raggruppamento genealogico massimo di riferimento identitario, espresso il più delle volte, ma non sempre, con il termine qabila. In molti casi, però, tale raggruppamento di riferimento può essere espresso mediante altri termini i quali, nelle intenzioni degli antropologi, indicherebbero invece raggruppamenti meno ampi della qabila. Non si tratta qui di un problema di utilizzazione contestuale di termini diversi per indicare il gruppo di appartenza (più o meno ampio a seconda degli individui e dei gruppi che si vogliono indicare come parenti o alleati). Si tratta invece di un uso alternativo dei termini, dal momento che la nozione di qabila, oltre a esprimere nella lingua araba un'idea di unione e di opposizione al tempo stesso (da questo punto di vista una rappresentazione culturale traducibile nel modello segmentario di Evans-Pritchard), riflette anche un elemento di superiorità sociale detenuto da alcuni raggruppamenti, superiorità comunemente accettata anche da coloro che non possono definire il proprio gruppo mediante l'uso di questo termine. Applicato indiscriminatamente a tutti i gruppi beduini, il termine tribù, come traduzione di qabila, rischia di far perdere di vista quelle sfumature culturali e quelle differenze sociali che non possono risultare da una visione formale dei raggruppamenti tribali concepiti come semplici aggregati dinamici di segmenti. 2ff7e9595c


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